2025

Imparare a riconoscere la realtà

Il Male esiste, fa parte della realtà. Il bambino che impara a riconoscere la realtà, lo terrà a freno. Il più delle volte, nel corso della sua crescita, egli rimane ad osservare le cose che gli ruotano intorno, lo si coglie mentre dialoga e bisticcia con sé stesso, mentre si inventa mille giochi per arrivare a fare chiarezza sulla propria identità, per indirizzare al meglio la sua esistenza.

Tra le braccia asfissianti di internet resta in balia dello schermo, senza una guida, inadatto a criptare i flussi digitali che inevitabilmente inondano la sua mente, fino a sentirsi sballottolato da una parte all’altra, senza una meta precisa, senza un rifugio, uno scopo. Da solo, premendo nevroticamente i tasti dello smartphone, non è ancora in grado di elaborare gli effetti disturbanti del male, anzi ne è morbosamente attratto. Proprio perché non lo riconosce, il male lo irretisce e lo ammorba, lo esaspera. Una vivacità spropositata, dirompente, accomuna gran parte degli infanti digitali, il cui temperamento reattivo può essere colpevolmente scambiato per sorprendente perspicacia. Lo strumento digitale non rafforza lo spirito, ma lo fiacca; deprime, aggredendola, la mente ancora acerba del bambino. Invece quando ascolta una fiaba egli si sente in compagnia, si trasforma da spettatore passivo in partecipante attivo. Protetto dalla presenza di un genitore, si convince che seguendo i suoi consigli riuscirà a mettere a fuoco il male e a dischiudere, piano piano, il volto autentico della realtà. In questo modo si convincerà di potersela cavare nella vita e comprenderà, piano piano, quale destino gli riserva il futuro.

Nella fiaba “Il lupo e i sette capretti” dei Fratelli Grimm si incoraggia il bambino ad inquadrare la realtà. “Un giorno mamma capra disse ai suoi sette caprettini che sarebbe andata al mercato a far compere e aggiunse di stare molto attenti al lupo, di non farlo entrare in casa per nessun motivo, che sennò li avrebbe mangiati in un sol boccone. I capretti risposero che avrebbero fatto molta attenzione, la mamma uscì quindi di casa e i capretti chiusero la porta col chiavistello. Difatti il lupo non tardò ad arrivare…” Dopo alcuni tentativi andati a vuoto il lupo riesce con uno stratagemma ad entrare nella casetta mangiandosi tutti i caprettini. Solo uno, il più piccolo, si salva rifugiandosi in un orologio a pendolo. Il bambino che ascolta il racconto si preoccupa ardentemente delle sorti del più piccolo, identificandosi in lui. Nel lieto fine, quando capisce che il caprettino sopravvive, si farà strada nella sua mente la convinzione che se metterà in pratica tutti i suggerimenti della mamma, ci sarà speranza anche per lui di potercela fare nella vita.  La mamma infatti fornisce ai piccini tutte le chiavi di lettura per interpretare il mondo, per riconoscere i pericoli, per non farsi soverchiare dal male. Li raccomanda di essere accorti e prudenti perché il lupo è astuto, si traveste, imbroglia il reale, lo falsifica, perciò rende irriconoscibile il male. E’ attraverso le parole della mamma che i bambini distinguono la realtà, attraverso le sue raccomandazioni, attraverso la descrizione dettagliata del tono di voce del lupo o del colore delle sue zampe.  I bambini si educano a riconoscere questi segnali e a discernere la realtà vera dalla realtà falsa. Saper riconoscere il vero dal falso è essenziale. Prima si distingue la realtà, prima si diventa adulti.  Davanti ad un bambino che si nutre di internet la madre ha più difficoltà di poter svolgere la stessa funzione educativa o influenzare le sorti del bambino, metterlo in guardia, perché, come abbiamo visto, solo attraverso la fiaba il bambino percepisce e ricostruisce a suo vantaggio il senso del reale, mentre il digitale gli fornisce un’immagine sbiadita e ingannevole della realtà. Nella fiaba capisce che il lupo può fargli del male, mentre nel web il riconoscimento della sua ferocia resta problematica, non riesce a farsene un’idea, non sa distinguere gli aspetti positivi da quelli negativi, né sa riconoscere i suoi travestimenti. In sostanza il lupo sul web dismette i panni del malvagio, non esprime il senso del pericolo assolutamente da evitare, ma si trasforma in un gradevole cartone animato proiettato sullo schermo. Al piccolo non gli restano molte armi per difendersi o per nascondersi, come il caprettino piccolo della fiaba dentro l’orologio a pendolo in attesa della madre. (1), La conseguente crescita del proprio io sarà ritardata.  Inoltre l’aiuto costante di un adulto che racconta la fiaba e allo stesso tempo raccomanda, instrada, incoraggia le scelte giuste e ammonisce quelle sbagliate, fa capire al bambino il significato di imparare dagli errori. Perché se il protagonista della fiaba sbaglia è come se l’errore lo commettesse lui.  E questo rappresenta un valore cruciale dal punto di vista pedagogico. Tuttavia dal web non imparerà mai dagli errori, perché non c’è nessuno che glieli spiega. Oltretutto sarebbe davvero difficile spiegare razionalmente ad un infante la differenza che intercorre tra il bene e il male.  Pur avendo seguito pienamente i consigli impartiti dalla madre, alla fine i capretti finiscono per essere divorati dal lupo. Il rischio di rimetterci le penne con l’evolversi dell’età, è sempre possibile. Se per questa volta i caprettini non ce l’hanno fatto è perché il lupo è troppo furbo e intrigante per la loro giovane età, e loro non sono così maliziosi per riuscire a smascherare il travestimento del lupo. Ma il bambino va a letto tranquillo perché ha imparato la lezione, ha compreso che per crescere bene deve sforzarsi di affrontare meglio gli imprevisti della realtà. Si addormenta sapendo che la lotta è appena iniziata; la prossima volta andrà sicuramente meglio.  

 

 Principio di realtà e principio di piacere nella costruzione della personalità.

Inquadrare la realtà, saperla interpretare, rappresenta un salto decisivo nello sviluppo della propria personalità. Il bambino affina la mente per adattarsi all’ambiente esterno, sperimenta la relazione con gli altri, vive esperienze sempre nuove che lo arricchiscono, impara a riconoscere i pericoli e ad apprezzare le gioie che la vita gli offre. La personalità si forma anche attraverso la comprensione che non è possibile avere tutto ciò che si desidera con un semplice schiocco delle dita e che il biglietto che porta alla felicità ha un costo da sostenere, non esclude che si debba rinunciare a qualche capriccio. La fiaba di Andersen “L’acciarino magico”, si adatta bene al nostro scopo. Ricordate?  “Un soldato arrivava marciando per la strada maestra…”, incontra una strega che gli chiede di calarsi dentro la cavità di un tronco d’albero per recuperare un acciarino a cui teneva tanto. Il giovane soldato recupera l’acciarino assieme ad un carico di oro, ma quando la strega si rifiuta di rivelargli il segreto dell’acciarino, le taglia la testa, poi “mise tutte le monete nel grembiule della strega, lo annodò, se lo mise in spalla come un fagotto, si infilò l’acciarino in tasca e si avviò verso la città”.  Nel corso della storia il soldato prova ogni sorta di avventura e esaudisce ogni suo sfizio, grazie al potere magico dell’acciarino. Certo si tratta di un soldato pieno di ardimento, tenace, che sembra dotato di un talento particolare nel sapersi districare in ogni circostanza ingarbugliata, ma tutto accade senza averne piena coscienza, quasi involontariamente. Si trova da un momento all’altro ricco e poi povero, felice e poi malandato, libero e poi incarcerato, delegando il proprio destino alla presenza magica dell’acciarino. L’acciarino soddisfa tutte le sue pretese, risolve tutti i suoi problemi e, alla fine, gli salva la vita, senza che il soldato ne abbia quasi cognizione o ne abbia alcun merito. Una vita senza pensieri è un sogno ad occhi aperti che non costa niente. Una vita con un lieto fine incorporato, senza sforzi, né inciampi, è una dolce chimera che accarezza la mente di ogni persona. La psiche del bambino reclama ardentemente solo la sua contentezza, grida e strepita sino a sentirsi pienamente appagato.  Certamente interviene nella fiaba a dare man forte al soldato, si entusiasma tifando per la sua felicità, ma crescendo gli verrà il dubbio che non sempre sarà possibile realizzare i propri desideri agitando l’acciarino magico e che bisogna tener conto della realtà, cioè delle regole e delle costrizioni morali che spesso cozzano con la realizzazione dei propri sogni. Edoardo Bennato ce lo ricorda in una sua famosa canzone. (2)

Tutte le tue avventure, son belle da sognare - Però nei sogni non ti puoi rifugiare

Non vedi il tempo corre e non lo puoi fermare - Diventi grande e ti vogliono cambiare

E questo ti spaventa, i grandi sono strani - Fanno paura più dei pescecani

Prima si mette a fuoco la realtà, prima si centrano le sue norme, si definiscono i suoi confini, i suoi limiti e prima si trova un equilibrio con la propria psiche, si calibrano le proprie aspettative in relazione non solo a ciò che è desiderabile, ma anche a ciò che è possibile. In questo modo si limitano i danni derivanti dalla frustrazione di non riuscire a godere appieno la propria vita, finendo per avvilirsi e perdere la fiducia in sé stessi. L’alternativa è quella di restare prigioniero della sindrome infantile di Peter Pan “l’eterno fanciullo” che rifiuta nel suo intimo di crescere, riluttante a qualsiasi tipo di responsabilità personale. Qui è il caso di recuperare brevemente la lezione di Freud sulla formazione della personalità come risultato di un processo dinamico tra “coscienza e inconscio”.  In estrema sintesi, dice Freud, l’Io è l’istanza preposta alla coscienza ed ha il compito di mediare e trovare un equilibrio nel conflitto tra le pulsioni spontanee dell’Es e le proibizioni (la legge) del Super-Io; l’Es quindi rappresenta quel complesso di impulsi e di desideri che irrompono istintivamente, che premono per esprimersi e trovare, a qualsiasi costo, una subitanea gratificazione, un incondizionato godimento. L’Es opera quindi secondo il principio di piacere, perseguendolo, come accade nel bambino, in maniera illogica, fremente, dando libero sfogo alla propria libido, soggiacendo alle scosse indomabili del suo animo. Ad esso si oppone il Super-Io, sede dei valori etici e del codice morale interiorizzati attraverso l’educazione, l’apprendimento del sistema di regole, principi, comportamenti mutuati dall’ambiente in cui si vive.  L’Io di contro rappresenta il principio di realtà. Cerca di far ragionare l’Es, di dargli senso, di non farlo traboccare nella sua irruenza, per evitare il peggio. Mantiene, per così dire, i piedi per terra. Chi non conosce la realtà non si introduce alla vita, ne rimane fuori. L’Io, insomma ha un bel da fare per frenare le necessità impellenti dell’Es o almeno per adattarle con la situazione reale; seleziona le spinte emotive che si possono soddisfare immediatamente e quelle che si devono rinviare per compierle in un momento più propizio, riflette se non sia proprio il caso di rimuoverle definitivamente, perché risultano imbarazzanti o nocive per la stessa crescita psichica. Il principio di realtà, piano piano, nella maturazione, dovrà prendere il posto del principio di piacere.

Prendiamo la fiaba de “I tre porcellini”. Timmy, Tommy e Gimmy, raffigurano diversi modi di affrontare la realtà. Ogni fratellino ha un contegno diverso e rappresenta, simbolicamente, un diverso avanzamento delle varie fasi evolutive del bambino, passando in modo graduale dal principio di piacere al principio di realtà. Molti si ricordano l’incipit: Un giorno la mamma disse loro – siete ormai grandicelli ragazzi miei, penso sia ora che prendiate ognuno di voi la vostra strada e costruiate ognuno la propria casetta”. Qui troviamo una madre che spiega ai propri figli che è ora di lasciare la casa natia ed andarsene in giro per il mondo, per farsi una vita propria. Certo una madre di altri tempi. Ciascun figlioletto, anche se a malincuore, si avvia alla ricerca di un posto dove costruire la propria casetta. Al giorno d’oggi la fiaba ha un impatto particolarmente significativo nella mente del bambino perché gli fa capire l’importanza di crescere e diventare indipendente. Staccarsi dalla famiglia può comportare comunque qualche rischio o qualche imprecisione durante il cammino per diventare adulto, ma il traguardo si rivela sempre ambizioso e affascinante.  Il bambino capisce che la riuscita di questo percorso di crescita dipende soprattutto dal suo impegno e dalla sua capacità di uscire allo scoperto. Ognuno dei tre porcellini si prepara in maniera diversa alla partenza, animati ciascun da riflessioni e finalità individuali.  “Timmy fece un fagotto con tutti i suoi dolci e il flauto che amava tanto suonare. Tommy riempì di giocattoli una borsa assieme al suo caro violino. Gimmy invece preparò la sua cassetta degli attrezzi con tutto ciò che gli sarebbe servito per costruire una solida casetta”.  Una volta giunti nel bosco ognuno si mette a costruire una casetta per il proprio ricovero. Il porcellino più piccolo la costruisce con della semplice paglia, il secondo si serve di bastoni; entrambi, annota Bettelheim, “approntano i loro rifugi con la massima fretta e col minimo dispendio di energie”, così da poter passare il resto della giornata a divertirsi, poiché i due porcellini più piccoli rappresentano un’età ancora interamente centrata sul principio del piacere, cercando di ottenere dalla vita un’immediata gratificazione, “senza darsi pensiero del futuro e dei pericoli della realtà”.  Il porcellino più grande si differenzia dagli altri due. Si mostra più saggio rispetto ai due fratelli minori. Si mette a fare le cose per bene e senza fretta, si costruisce con calma una casetta di mattoni molto robusta, in grado di proteggersi dagli attacchi del lupo. La fiaba funziona nel messaggio indiretto, ma chiaro, che arriva ai bimbi che percepiscono quanto siano inevitabili i pericoli e gli eventi drammatici, come la visita del lupo, e quanto sia necessario giungere alla propria autorealizzazione attraverso la conoscenza della realtà, il tenere conto delle sue esigenze, a volte spiacevoli. E senza che questo insegnamento rappresenti un ostacolo ad inseguire la propria felicità o rappresenti la rinuncia a divertirsi e a rendere favoloso il proprio tempo.

 

 La dura realtà.

Ma con quale realtà si misura il bambino imprigionato nella rete? Non c’è dubbio che più la tecnologia digitale avanza, più si intensifica il suo potenziale illustrativo, più si amplia l’offerta vertiginosa di frammenti di realtà che il bambino trova disponibili, a portata di mano, sullo schermo. Una realtà aumentata, come si definisce spesso, che però perde di univocità, smarrisce la sua essenza, o perlomeno l’aggancio diretto e concreto con il vissuto del momento. Nel web la realtà perde così di significato, non è più autentica, non rispecchia più la dimensione umana, che è multiforme, con i suoi risvolti a volte piacevoli e succosi, a volte sgradevoli e cruenti. La realtà virtuale contiene diversi gradi di approssimazione e di falsificazione. Se a un adulto riesce difficile comprendere quando un immagine o una notizia, è vera o falsa, figurarsi cosa accade nel cervello di un bambino di fronte al turbinio delle visioni proiettate sul display, dove tutto per lui sembra imprescindibile, plausibile, e dove le categorie del vero e del falso tendono a scomporsi, a diluirsi in un'unica miscela informe. Basta un piccolo clic per sentirsi come il Genio della lampada in grado di mescolare tutte le realtà del mondo, che ritiene credibile e persuasivo tutto ciò che scorre sullo schermo, a immaginare che si possa soddisfare ogni richiesta, eludere ogni rischio, appagare ogni tentazione. Il bambino alle prese con il web si misura con una realtà aleatoria ed edulcorata, alle prese con una quantità micidiale di immagini e di scene che non faranno mai parte della sua vita, e da cui non apprenderà mai niente di sostanziale. Con la prospettiva, questa davvero realistica, di trovarsi con un pugno di mosche in mano, devastato nel suo intimo, incerto nella scelta della strada da percorrere. La fiaba “Il pescatore e sua moglie” narra di un povero vecchio pescatore, succube di una moglie avida e scontrosa, che pretende dal marito di esaudire tutte le sue voglie, anche quelle più esagerate, attraverso l’aiuto magico di un pesciolino d’oro. La moglie ingorda non si accontenta mai del suo presente. Prima chiede una nuova casa, poi avanza la richiesta di diventare la moglie del governatore, poi dell’imperatore; ma non le basta, vuole essere anche papa, e infine chiede di sostituirsi a Dio. Insomma il troppo storpia, così il pesciolino d’oro, che le aveva concesso tutto, capisce che il senso di realtà della moglie del pescatore è definitivamente naufragato e li condanna a ricominciare dalla casella di partenza: “tornatevene nella vostra baracca lurida come un pitale”. Ci sono beni preziosi che noi acquisiamo solo crescendo e imparando dalla vita vera, solo così ne riconosciamo il gusto e ne accettiamo il dono, mentre se abituiamo la nostra mente che tutto è avverabile c’è il rischio di rimanere eternamente insoddisfatti. Diventa sempre più difficile apprezzare la bellezza anche delle piccole cose, che ci danno gioia, se ci confrontiamo con una realtà astratta, modellata con carta crespa, imbottita di castelli in aria, inesistente. Come scrive Raffaele Simone in Presi nella rete: “Questa realtà surrogata rende insignificante il contatto con la realtà vera”.

 

 Eros e Thanatos

L’immagine sfumata, frammentata della realtà si presenta nella percezione fuorviante dell’eros che da simbolo di energia vitale, straripa nel web in un bacino di squallida perversione. Le conturbanti scene di sesso che invadono la rete imbragano e annientano la potenza simbolica dell’eros. Il sesso reale, quello vissuto in prima persona, viene de-realizzato, declassato in una rappresentazione misera e desolante. Ai ragazzi la vita reale non interessa più, scrive lo psicanalista Luigi Zoja nel libro “Il declino del desiderio”. Per loro rappresenta quasi una perdita di tempo. Incollati allo schermo, si nutrono e vanno incontro a mondi separati, privi di realtà vissuta e sperimentata. Perdendo il contatto con il mistero e con la forza rigeneratrice di Eros, con l’abbondanza dei suoi tripudi, come dei suoi tormenti, si sottrae uno degli assunti fondanti della crescita psichica del bambino, altrimenti sostituiti da immagini corrive e palpiti nevrastenici. Davanti a questo dilagante e universale impoverimento erotico, può sembrare davvero poco, o persino irrilevante, l’ascolto di una fiaba anche se potrebbe aiutare a far germogliare nella testa di un bambino un’idea meno truce del sentimento dell’amore. Una delle più belle storie d’amore in forma di fiaba è quella scritta da Oscar Wilde: “La rosa e l’usignolo”. Per concedergli l’onore di un ballo la fanciulla amata richiede ad uno studente, follemente innamorato, come prova d’amore, di portarle una rosa rossa. Un piccolo usignolo commosso dalle pene d’amore provate dallo studente, decide di andare alla ricerca di una rosa rossa, da consegnargli al più presto, per coronare il suo sogno d’amore. Con questa premura, però, mette a repentaglio la sua stessa vita. L’usignolo accompagnato dal suo canto melodioso spinge la spina nel suo petto sino a farne scaturire una rosa. Trafiggendo il suo cuore, la rosa si colora con il rosso del suo stesso sangue. Il sacrificio dell’usignolo sublima la potenza dell’amore. Il connubio tra Eros e Thanatos, lo spirito combattivo dell’uno e la forza distruttiva dell’altro, tanto ricorrente nella mitologia classica, lo incrociamo ancora nel “Il soldatino di piombo” di Andersen che “per un errore di fusione” rimane con una gamba sola. Nonostante ciò veniva sempre messo di vedetta, perché dava l’impressione di essere molto più coraggioso degli altri. Un giorno conobbe una giovane ballerina di cui si innamorò perdutamente. La freccia di Eros è partita. L’amore è così profondo che quando la ballerina precipita nel fuoco il soldatino disperato, preferisce buttarcisi anch’egli per bruciare insieme alla sua amata. “L'indomani la cameriera tolse la cenere dal caminetto e trovò un cuoricino di piombo e un lustrino incenerito dal fuoco”. Questo finale è l’annuncio al mondo del trionfo dell’amore su tutti gli ostacoli e tutti i torti che si incontrano nella vita e mostra anche quanto la realtà sia viva e palpitante, anche se a volte risulta davvero dura da accettare. Il lieto fine in queste fiabe viene sostituito dalla bellezza e dalla delicatezza della trama, che pur impedendo il raggiungimento del desiderio tanto agognato, esercita un forte impatto emotivo nel bambino che ascolta inebriato.

Anche nella “La Sirenetta” e nella “La Piccola Fiammiferaia” ci si imbatte nell’estrema durezza della realtà, che a volte richiede sforzi e rinunce davvero eccessivi.  La Sirenetta accetta di rimanere senza lingua e con le gambe sanguinanti pur di conquistare il cuore del bel principe ed inseguire il sogno di avere un’anima immortale. Combatte la sua lotta per la felicità con ostinazione e forza d’animo encomiabili. Muore compiendo una buna azione, si immola salvando il principe e così facendo, illumina se stessa. Anche la Piccola Fiammiferaia muore da sola rannicchiandosi su un marciapiede per il freddo e dal dolore.  La visione d’incanto proiettata dalla fiammella dei fiammiferi, che lei accende uno alla volta per riscaldarsi, si estingue repentinamente in pochi attimi di luce, lasciando la piccina afflitta e senza speranza. La fiaba ci ricorda per intero il monito che non è possibile riuscire a soddisfare tutti i propri desideri, anche quelli più semplici, come avviene nel tempio prodigo e appagante del web, la cui disponibilità è illimitata e alla portata di tutti, ma il cui appagamento spesso si rivela effimero e insignificante, lasciando dentro il proprio animo un vuoto ancora più profondo ed un sentimento di solitudine ancora più crudele. Nel suo recinto opprimente tutto è diletto e finzione ed è facile sognare ad occhi aperti, farsi irretire da fervide suggestioni, da sogni vacui che, come il calore del fiammifero tra le mani della piccina, riscalda il tempo di un respiro, per poi svanire. Si è anche sottolineato come nelle fiabe di Andersen i protagonisti si riscattano solo dopo la morte e dopo aver subito mortificazioni e umiliazioni di ogni genere, esaltandosi infine attraverso le loro doti morali e un saldo senso del dovere. Il bambino che segue questi racconti tristi e malinconici, si sente al sicuro e protetto, circondato dagli affetti familiari, convinto di poter essere sempre al riparo da sventure e disagi, ma si rende conto pure che non è poi così scontata la fortuna che gli è capitata e che la serenità della sua esistenza potrebbe da un momento all’altro scomparire. Il bambino percepisce quanto può essere aspra la vita, che per riuscire ad emergere bisogna mettere in conto anche contrattempi e minacce imprevedibili, impara a riflettere che la facilità con cui si ottengono le cose è pura illusione, e che la realtà che fluisce attraverso le onde digitali è puramente velleitaria e menzognera.

 

 La realtà vissuta è più emozionante della realtà virtuale.

Restiamo ancora un attimo su Hans Andersen, poeta e romanziere danese di straordinaria levatura che con parole semplici e accorate divenne un punto di riferimento per le novelle dedicate ai bambini. Egli sperimentò su di sé un’adolescenza di privazioni e maltrattamenti, spesso oltraggiato per via di un fisico sgraziato. Questo tuttavia non gli impedì di diventare uno scrittore di grande fama, molto acclamato in tutta Europa.  La sua penna ha disegnato una realtà struggente e generosa, ritraendo personaggi intensi, pieni di pathos, il cui scopo è quello di riscattare, attraverso il loro estremo sacrificio, una vita di sofferenza e di stenti in un messaggio di alto profilo morale e di grande rettitudine, che ancora oggi emozionano e colpiscono il cuore dei lettori. Tuttavia, in una sua fiaba, “L’Usignolo”, inaspettatamente, è proprio la morte a fare marcia indietro davanti al prorompere della vita. E’ questa la storia di un grande imperatore che ascolta estasiato il canto delizioso di un usignolo, commuovendosi sino alle lacrime, tanto da decidere di farlo vivere per sempre accanto a sé, nel castello, dentro una gabbia tutta d’oro, da cui poteva uscire ed entrare liberamente. Un bel giorno però viene regalato all’Imperatore un uccello meccanico molto simile a quello vero, ma ricoperto di pietre preziose e funzionante per mezzo di cilindri. Dopo qualche tentativo di farli cantare insieme l’usignolo vero volò via e se ne tornò nel bosco. Nella corte questa fuga non fu presa bene. “Vedete maestà l’usignolo vero non si può mai prevedere quale sarà il suo canto: in questo uccello meccanico tutto è stabilito. Così è e non cambia”. Da allora l’uccello meccanico fu trattato con tutti gli onori e dopo un po’ di tempo tutti “conoscevano ogni minimo suono della canzone dell’uccello meccanico ed erano tutti molto felici”, mentre l’usignolo vero fu bandito dalla corte... Ma dopo un anno l’uccello smise di funzionare perché i congegni meccanici interni si erano usurati e non era possibile sostituirli. Nella corte scoppiò un vero dramma. L’imperatore si ammalò gravemente fino a rimanere bloccato nel letto. “Il povero imperatore non riusciva quasi a respirare… spalancò gli occhi e vide che la morte sedeva sul suo petto e s'era messa in testa la sua corona d'oro.” Quando tutto sembrava finito si sentì “un canto mirabile” provenire dal giardino. Era il vero usignolo accorso al capezzale dell’imperatore per assisterlo e consolarlo. Ma la cosa ancora più spettacolare fu che la stessa morte fu colpita dall’incanto di quella voce e chiese all’usignolo di continuare a cantare sino a quando, preso da tanta commozione, non decise di abbandonare il campo e fuggire, volatilizzandosi “come una fredda nebbia bianca, fuori dalla finestra”. L’amore aveva vinto sulle tenebre, la vita aveva trionfato sulla morte, la realtà, quella vera, che è sempre insolita, cangiante, e, come in questo caso, melodiosa, aveva prevalso sulla realtà meccanica, monotona, stucchevole, che intrattiene ed intriga solo per pochi attimi, che tiene in scacco la mente, anziché farla vibrare. Il canto dell’uccello meccanico è conosciuto perché ordinario e ripetitivo, mentre il canto dell’usignolo del bosco è sempre nuovo e suggestivo. Ciò significa che la realtà, anche nella sua durezza, sa essere molto più emozionante della realtà virtuale. Come scrive il filosofo Michel Serres “La vita perde sempre, ma dolce e cocciuta, rinasce sempre, inarrestabile, minuto per minuto continua a rinascere, a rispuntare, a rifiorire a portare nuovi frutti. La morte spezza e taglia allegramente i suoi germogli, la vita continua come se niente fosse. Gonfia d’odio, la morte distrugge la vita; la vita si fa beffe della morte, non se ne preoccupa, ride, perché è troppo occupata a dare, a dare, senza tregua, degli amori deliziosi…..”.

1 Appare interessante il significato del pendolo-rifugio scelto dal piccolo caprettino, come “simbolo del tempo che trascorre”, (www.genitorichannel.it) che richiama l’esigenza innata e imprescindibile di “staccarsi dalla dipendenza dall’adulto” non appena si è in grado di cogliere il vero ritratto della realtà, il suo cuore pulsante, che lo accompagnerà nella sua crescita.

2 Nel Covo dei Pirati - (Album del 1979:   Sono solo canzonette)

3 Michel Serres -  Darwin, Napoleone e il samaritano, Bollati Boringhieri, 2017

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La lettura supera la vista

Gli scrittori arabi dicevano che un libro è il migliore e più sicuro amico, collega ciò che è lontano a ciò che è vicino, il passato al presente: il lettore si ferma di continuo in quel che legge con un'attenzione permanente; mentre chi si accontenta di guardare, anche a lungo, non si arresta a nulla. Ecco perchè "la lettura supera la vista" dicevano gli arabi.
(Pietro Citati)

 
 
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Carmelo Zaccaria

E' uscito il nuovo libro di Carmelo Zaccaria ordinabile online e in tutte le librerie. 

 

  

In questo libro analizzo e metto a confronto modelli di comportamento e reazioni emotive che animano il bambino nella costruzione della sua personalità, a seconda che siano influenzati dal web o dalle fiabe.

Tra il mondo virtuale dei Bit ed il mondo magico delle fiabe non sembra esserci spazio di condivisione o di compromesso. Oggi certamente la comunità digitale sembra esprimere un approccio mentale più evoluto e innovativo, rispetto ad una concezione ritenuta retrograda delle fiabe, se non fosse che sta delegando le potenzialità dell’intelletto umano ad una macchina. Ed inoltre ritengo che certi valori come l’umiltà, il coraggio, la semplicità, la generosità, l’altruismo, che sono preziosi punti di riferimento del mondo fiabesco, dovrebbero essere maggiormente riconsiderati dal punto di vista pedagogico.

Ce ne sarebbe un gran bisogno, considerate l’inquietudine e la deriva sociale di cui sono vittime gli adolescenti di oggi. Mettere d’accordo il mondo digitale con il mondo delle fiabe, farli convivere, trovando i modi e i tempi giusti di influenzare positivamente, ognuno per la sua parte, lo sviluppo psicologico del bambino, anche se può apparire arduo, è tuttavia uno sforzo supremo che va tentato.

 

 

 

Il racconto di dieci anni di storia

Si intitola “Il tempo migliore – divagazioni sul presente irresistibile e artificioso” il volume di Carmelo Zaccaria uscito per i tipi della Scorpione Editrice. Si tratta di una raccolta di articoli che l’autore ha scritto sugli eventi che hanno segnato l’ultimo decennio.