Caro Max stavolta non sei riuscito a sfangarla con la tua guasconeria di toscanaccio irriverente. Il calcio, proprio tu avresti dovuto saperlo, a volte sconvolge i piani. La palla rotola, devia, inganna. E’ imprevedibile. Può succedere che mentre ti ricopri d’alloro, ti cacciano via, perché, per imprudenza, burla o tracotanza, ti sei cacciato, con sdegno, in un gioco al massacro devastante
che credevi di saper controllare, ma che ha finito per sopraffarti. Un cavallo della tua scuderia avrebbe certamente scartato di lato, strattonato le redini, per sfilarsi. Tu ci sei rimasto impigliato. In forza di un perentorio imprimatur ricevuto pensavi che bastasse metterci la faccia per meritarti l’aureola. In fondo ti hanno solo chiesto (o implorato) di proteggere una società in frantumi, perseguitata da processi e condanne, pregandoti persino di tollerare scelte sportive inspiegabili e spesso inadeguate.
Hai pensato di poter padroneggiare quelli che, con una freddezza luciferina, ti tramavano contro, sfilandoti da sotto il naso il respiro del tuo spogliatoio, indicandoti anzitempo ed in modo pruriginoso il tuo sostituto, aizzandoti contro i beceri commenti di basso conio dei social e di qualche media compiacente. Hai disprezzato l’ambiguo silenzio del tuo datore di lavoro che non ti ha mai protetto da insulti e predicozzi da parte di una tifoseria sempre sprezzante nel distribuire colpe e a sentenziare responsabilità inappellabili. Probabilmente la stessa che, per inciso, si è prestata a chiudere la porta in faccia al rinnovo di Sarri, prima sontuosamente acclamato per il bel gioco, e bruciare l’anno dopo un talento come Pirlo. L’errore capitale che hai commesso è stato non aver compreso che la tua investitura, prima e dopo Andrea Agnelli, era solo un pretesto per trainare la Juve fuori dalla sabbie mobili in cui era precipitata. Un parafulmine ideale per coprire tutti i suoi tragici errori e incompetenze. Ti acclamavano come principe, ti disegnavano come un pupo. Ci sono aziende che si comportano spesso così con i loro dipendenti migliori e più affezionati (i famosi aziendalisti), pagati profumatamente, mandati allo sbaraglio per prendersi pallonate sul muso, ovviamente rassicurati con la prospettiva di poter ricoprire un ruolo sempre più centrale nelle strategie. La discrezione delle prime finisce per diventare la sciagura dei secondi. Quando il tempo ha fatto il suo corso, alla prima l’occasione, sono scaricati in modo poco elegante, brutale. E senza un grazie.
Spiace dirlo, ma dopo il plateale scamiciamento e le tortuose evoluzioni da bestia ferita, oggi sei purtroppo, indifendibile. Sei passato dalla parte del torto. Non ti sei comportato da cavallo di razza ma da pollo in batteria. A nulla valgono in questi casi scuse e giustificazioni. Sei andato oltre il raptus agonistico. Chi ha visto la partita di Coppa Italia è rimasto letteralmente scioccato dal tuo scellerato sbracamento, dalla riprovevole e incarognita discesa negli inferi a cui ti sei spontaneamente sottomesso, pur riconoscendo come solo una persona con una grande sofferenza interiore ed un allarmante frustrazione psichica, accumulata nei due anni precedenti, poteva esplodere in quel modo. Sicuro di aver fatto il proprio dovere, dopo una vittoria testarda e perentoria, che nessuno auspicava, per vederti rotolare nella polvere, così da rendere lecito e inoppugnabile il tuo allontanamento, da tempo cotto e mangiato, hai compiuto l’estremo atto di uomo solo e disperato, che ritiene con una furia incontenibile di poter dare sfogo e testimonianza ad una rabbiosa rivincita sulla malvagità e irriconoscenza del mondo intero, su tutto l’ambiente, sui titoloni dei giornali, sul management di quarto livello, sui limiti tecnici evidentissimi del gruppo che ti hanno affidato, e che tu dignitosamente hai comunque sempre difeso,. Capisco, da juventino, che volevi, in un sussulto di ira e vanagloria, marchiare a fuoco le tue credenziali di vincente.
Ed è vero, la Juventus ha vinto tanto, anzi tantissimo. Ma le sue vittorie, pur meritate, sono sempre state faticose, acciuffate, strappate quasi a morsi. La storia della Juventus è costellata di vittorie travagliate, alcune addirittura sanguinose, mentre, di converso si sono perse partite di una semplicità imbarazzante. Siamo abituati a questa sofferenza. Il palo di Miretti si sarebbe trasformato in gol facile e conclusivo con un’altra squadra, ma per la Juve c’era in agguato un finale diverso, più bruciante, orrido. Nelle pieghe della mitologia greca si narrano guerre sotterranee tra le divinità amiche e quelle ostili, ma non ci sono mai risultati inconfutabili e definitivi, per cui si poteva soccombere senza una ragione, perché così avevano deciso il fato o prevalere sull’avversario solo con tormento. Il cuore juventino è tutto in questa incongruenza del destino, tra orgoglio e amarezza, e tu vincendo questa finale, in questo modo, lo hai rappresentato in pieno. Spero che la dea Eupalla, tanto cara a Gianni Brera, non cosparga di ulteriore veleno questo tuo burrascoso esonero.