La foto ritrae il mesto ritorno a casa del popolo palestinese che, ironia della sorte, somiglia, nella cruda virulenza dell’immagine, all’Esodo biblico del popolo ebraico. L’ Esodo raccontato dalla Bibbia dura quaranta anni, una traversata memorabile in un deserto di sabbia e di polvere, a nutrirsi di manna fatta piovere, a giusto proposito, dal cielo.
La posta in gioco però allora era elevata e preziosa: arrivare alla terra promessa. Tra sospiri e lamenti, accampati nelle loro tende sgualcite, con il vento notturno che soffiava impetuoso da oriente, il popolo ebraico si dirige, o meglio, viene accompagnato verso la terra dei padri, quella di Abramo, di Isacco e Giacobbe: una terra di acque e terre lussureggianti dove poter edificare il mondo nuovo, dove potersi saziare, finalmente liberi dal giogo egiziano, del dono ricevuto direttamente dalle mani del Signore. Egli stesso marciava alla loro testa indicandoli la via. Ed è sempre stato chiaro che il sogno della terra promessa non si sarebbe mai potuto avverare senza il suo sguardo vigile e paterno, la sua presenza costante e risoluta. La Bibbia descrive il momento in cui gli ebrei partono per il grande Esodo, cioè la Pasqua ebraica, come epico e stupefacente. Gli israeliani lasciano l’Egitto in seicentomila, senza contare i bambini. Fu un viaggio dalle tappe incalzanti, temerario e travolgente.
Oggi l’Esodo “al contrario” del popolo palestinese conta più di un milione di persone, ma sembra dipanarsi in una marcia lenta, penosa, piena di sguardi turbati, appesantita da ansia e angoscia. La foto illustra una fiumana di corpi demoralizzati incamminati verso una terra praticamente rasa al suolo, cosparsa di macerie e di manna velenosa. Si scorge un popolo solitario che avanza attonito e scoraggiato, avendo ancora negli occhi il ricordo indelebile del proprio suolo calpestato da cingolati, mutilato dal frastuono delle bombe, traumatizzato dalle sventagliate assordanti delle mitragliatrici. Un popolo sfiancato dalle traversie del tempo e dalle intemperanze della storia, incredulo e desolato, senza alcun protettore che lo sostenga, né guida divina che lo assista: consapevoli che la terra a loro sottratta, e mai promessa, è una terra martoriata e senza sorriso, una striscia di ruderi trafitta da dolore e sconforto. Un popolo tuttavia caparbio, che vuole rimetterci piede lo stesso perché quella è la terra dei loro padri, custode delle loro radici, balsamo della loro anima sopraffatta ma indomita. L’unico posto al mondo che vogliono raggiungere e che vogliono amare, nella speranza di riuscire a cogliere, tra disperazione e rovine, un barlume di speranza che restituisca al tremore del mondo un briciolo di umanità perduta.