Ogni volta che ricarico la Sim la compagnia telefonica mi regala 20 Giga aggiuntivi di traffico internet, pur sapendo che in un mese utilizzo a malapena 2 Giga per navigare sul web. Perché lo fanno? Non certo per beneficenza. Più probabilmente mi mettono a disposizione gratuitamente tutti quei Giga perché sanno perfettamente che non saranno mai utilzzati. E’ solo una tattica maliziosa che ti induce a percepire il loro sconsiderato affetto.
In termini di marketing si chiama fidelizzazione della clientela, cioè essere munifici senza spendere un centesimo. In un sistema economico diventato maledettamente spietato si ha come la sensazione di sentirsi presi per i fondelli, ma con lodevole riguardo. Se il capitalismo nella sua ultima mutazione viene apostrofato come ingordo una ragione deve pur esserci. D’altra parte i nostri comportamenti non fanno altro che alimentare la sua bramosia, lo tengono sempre vivo, fiero e sregolato; ci concediamo alle sue lusinghe, siamo succubi del suo inopinato dominio. In fondo siamo convinti che il capitalismo è una storia di successo da cui non vorremmo mai uscire, lo scrigno di sogni che misura il nostro grado di felicità, una felicità a dire il vero sempre più obesa, pasciuta, stancante. Come ci ricorda Naomi Klein, il capitalismo, “pur essendo un puntino nella storia collettiva della nostra specie”, ne siamo così pervasi che sembra non avrà mai fine.
Non sai mai con chi prendertela per i suoi eccessi e i suoi soprusi, perché ogni responsabilità viene dirottata sulla logica del mercato, che a seconda dei casi può essere la panacea di ogni male o l’indiziato di ogni caduta rovinosa. Sarà sempre colpa di un indefinibile mercato se la benzina aumenta o se le compagnie aeree stravolgono il prezzo dei biglietti. Al più ce la potremmo prendere con l’algoritmo. Tuttavia ilo capitalismo è contagioso. Ci sentiamo tutti dalla parte giusta quando pretendiamo trenta euro per una tazzina di caffè o quando fatturiamo due euro solo per tagliare un tramezzino. E non ci sembra neppure tanto arbitrario richiedere un extra per un cappuccino senza panna, perché per ottenerlo bisogna essere strutturati, flessibili, innovativi. Il capitalismo è imparziale, crea consenso; non segue le regole, le detta. La deregulation raccontata sui testi di economia non convince più, tanto che l’attuale sistema neo-liberista si nutre di migliaia di regole, sempre più invasive, corrotte, contraddittorie, una regola giustifica l’altra, perché il capitalismo è sveglio, impavido, sa che più regole ci sono più si ha la possibilità di aggirarle. Si pagano le lobby per questo, per avere sempre a portata di mano una giustificazione o rimediare una scappatoia credibile. La mano invisibile descritta da Adam Smith nella Ricchezza delle Nazioni ha perso il suo fascino discreto. Oggi il libero mercato è un luogo di trasgressione, a patto che ci sia sempre qualcuno che consumi e paghi. Il capitalismo ingordo pensa solo a se stesso. Appena varata la legge sulla pirateria si corre ad aggiornare i prezzi degli abbonamenti. E’ ovvio che se avessero abbassato prima i prezzi le persone sarebbero state orientate a sottoscrivere l’abbonamento, senza ricorrere a trasmissioni illegali. Ma la filosofia del capitalismo impone di non potersi mai accontentare di un semplice guadagno. Non basta coprire i costi o allargare la base della clientela, bisogna scarpinare, arruffare, dominare il cliente, prenderlo su per la gola. Non vuole sentire ragioni, poco gli importa del disfarsi della natura, dello scioglimento dei ghiacciai, del diffondersi della siccità, dell’impazzimento del clima, del fuoco e delle fiamme, di temperature sempre più insostenibili. Non si riesce proprio a farlo ragionare, a governarlo. Persino dopo il Covid non c’è stato alcun ripensamento, anzi ne siamo usciti più nerboruti, famelici, spendaccioni. Dovevamo piantare un miliardo di alberi per sotterrare un po’ di anidride carbonica, invece abbiamo ripreso a bruciare combustibili fossili finanziandoli più e meglio di prima.
L’attuale sistema economico non riconosce nessun Game Over, anzi rilancia ad ogni crisi, come se bastasse spostare la frontiera sempre più ad Ovest, senza riflettere sulle conseguenze nefaste a cui conduce una economia fondata sulla “cultura del prendi e scappa”. Tanto meno non gli sembra conveniente inseguire un modello di economia sostenibile, che garantisca una “buona vita” a tutti e che non nuoccia all’equilibrio ecologico del pianeta. Invece si continua a sostenere il mito dello sviluppo perché se tutti fossero convinti che il sistema è sbagliato e non più vantaggioso si aprirebbero scenari imprevedibili. Come sostiene Jason Hickel in The Divide: Quando i miti crollano, scoppiano le rivoluzioni. Per il resto siamo un’umanità stanca e diffidente che avrebbe bisogno di una visione più ottimista sul futuro, possibilmente non più centrata su una visione capitalista.