Ci si attende molto, e a ragione, dal PNRR, da come saranno spesi tutti quei soldi e se realmente serviranno a rimuovere gli ostacoli relativi alla vita delle persone. Con il passare del tempo il PNRR è diventato uno di quei mantra intangibili che creano dipendenza, richiedono dedizione, oltre l’acronimo traspare una reliquia da venerare, un’allettante panacea in grado di risolvere le nostre infinite storture e inefficienze, lenire i nostri malanni.
Il suo richiamo prima impaurisce come il calderone gorgogliante del diavolo e poi attrae come la cesta degli unguenti miracolosi dei tre cerusici. Nell’immaginario collettivo si presenta come l’ultimo salvacondotto per tentare di rimetterci in sesto, far rimbalzare la crescita, arginare ritardi, riparare i danni provocati dalla crisi pandemica, incrementare i livelli occupazionali, ed infine, ma siamo già nel campo della magia, perseguire la temeraria ambizione di rendere il nostro mondo più roseo e confortevole. Riponiamo nel PNRR una considerazione ed una fiducia sconfinate. Ma, come dice la strega nel Macbeth: l’eccesso di fiducia è il peggiore nemico dei mortali. Il suo corposo programma consultato sul sito del Governo, pur prevedendo diversi capitoli di intervento (come ogni buon business plan che si rispetti, zeppo di titoli suggestivi e numeri aleatori), ruota sul raggiungimento di due obiettivi fondamentali: contrastare gli squilibri territoriali e le diseguaglianze economiche, dare impulso ad “una compiuta transizione ecologica”. Ancora è presto per sapere se la qualità dei progetti e gli investimenti in cantiere vanno in questa direzione, cioè se stanno perseguendo le priorità pubbliche incentrate su lavoro e ambiente, oppure se ambiscono a fare arricchire pochi e svelti sodali. A guardarsi intorno sembrano emergere anticipazioni piuttosto sconfortanti. Ad esempio, a proposito di diseguaglianze, non passa giorno che un nuovo miliardario entri nella lista di Forbes e non passa ora che una persona nel Mondo muoia per mancanza di cure o per fame, se non per le conseguenze di una guerra. Ed è ancora più scioccante il fatto che la quota singola di ricchezza detenuta dal 10% aumenti sempre di più, mentre quella della parte più povera continua a ridursi. Si è sempre riflettuto dall’inizio della pandemia quanto fosse essenziale il potenziamento della rete territoriale della sanità pubblica, inderogabile ammodernare le dotazioni tecnologiche della rete ospedaliera, diffondere la telemedicina e puntare direttamente su una maggiore integrazione ospedale-territorio. Invece si è pensato, e non solo dalle nostre parti, a finanziare mega strutture in territori carenti di personale specializzato, prive di impiantistica e strumentazione evoluta, che non saranno in grado di diminuire i tempi di attesa di ricoveri ed esami, mentre non scoraggerà il massiccio ricorso agli appuntamenti, tanto immediati quanto costosi, con il privato, senza assolvere, ovviamente, all’obiettivo di portare le cure in prossimità del paziente. Per tacere delle enormi questioni di compatibilità ambientale, dopo aver depredato terreni agricoli produttivi rendendoli con il tempo, a seguito di varianti in corso e di quelle che sicuramente verranno, aree altamente inquinate e degradate.
Nel settore dell’occupazione, ai lavori marginali, infimi, reietti, fa capolino quello che l’economista Claudia Goldin chiama “greedy job”, che conteggia la retribuzione in base al maggior numero di ore in cui ci si rende reperibile. Il “lavoro avido” è quello che paga molto un compito urgente, una mansione impellente sorta nel cuore della notte o durante il week-end, mentre ti accingi a sedere a tavola. Il dipendente disposto a lavorare a chiamata, ad essere sempre disponibile in ogni momento, non si può definire lavoratore moderno, ma rientra a buon titolo nella definizione di paggio, valletto, servo. D’altra parte vivendo in funzione del consumo, difficilmente si pensa a rinunciare a qualcosa, c’è sempre qualche desiderio da esaudire. Al raffreddarsi della pandemia poi sono arrivate le elezioni e sui temi che contano, quelli ricapitolati nel PNRR, ci siamo distratti un’altra volta. Purtroppo tra le recenti nomine governative e cariche istituzionali non vengono segnalate particolari sensibilità e convincimenti ideali capaci di scatenare marce furibonde contro disuguaglianze, ingiustizia sociale ed emergenze ambientali. Si dirà che la destra di governo si è portata avanti con il lavoro imprimendo il marchio PNRR, come rafforzativo, nell’intestazione di un Ministero, come un vessillo da sventolare, una coccarda da salvaguardare e proteggere, oppure somiglia piuttosto ad un pretenzioso cadeau, una superba sciccheria, un fiore all’occhiello da sfoggiare e illuminare con una luce così intensa da glorificarsene subito e al momento buono abbandonare al suo destino, alterandolo e oscurandolo sino a farlo scomparire, come avviene nel racconto di E.A. Poe “La lettera rubata”, dove la lettera viene nascosta, per eclissarne la sua utilità, nel punto più appariscente della stanza, sul caminetto, per occultarla meglio e renderla vacua e irrintracciabile.