Nel dramma in versi di Goethe troviamo il vecchio Faust che irrompe nel grande giro della corte imperiale con la funzione di tesoriere, complice il diavolo Mefistofele, suo fidato mentore. Il Regno è oppresso da una disastrosa situazione finanziaria, preda di tumulti e saccheggi, tanto che l’imperatore non sapendo più che pesci prendere,
per risollevarne le sorti, convoca un Consiglio di Stato invitando i più alti dignitari di corte a suggerirgli qualche apprezzabile dritta in proposito. Per di più, trovandosi nel periodo di Carnevale, acconsente allo svolgimento del corteo in maschera con l’intento di lenire non poco l’angoscia e le privazioni dei propri sudditi. Sfilano dunque cocchi luccicanti di oro con sopra grottesche figure mitologiche, fauni e satiri danzanti, gnomi e giganti vestiti con giubbe di Pulcinella, carri ricoperti di scrigni stracolmi di gemme e gioielli che scivolano tra i piedi del popolo festante la cui ingordigia è così incontenibile da non accorgersi che tutto quel prezioso luccichio non è altro che un inganno demoniaco.
Proprio Mefistofele, travestito da buffone di corte, sul finire della mascherata, compie il miracolo tanto atteso facendo comparire una spropositata abbondanza di banconote con tanto di effige e firma dell’Imperatore. Il Regno dunque è salvo dall’immane catastrofe per l’opera geniale del diavolo. Piovono soldi a pioggia, vengono saldati tutti i conti, pagati i soldati, riempite le osterie e le cantine di vino. Si riprende la gozzoviglia dei bei tempi, ritorna l’allegria, qualcuno corre a comprare collane e anelli all’ innamorata, qualcun’altro declama beato “Berrò doppio e meglio!”. All’orecchio dell’imperatore giungono solo lusinghe e richieste di intercessione, nessuna idea prodigiosa, nessun progetto audace in grado di ricostituire al più presto l’antico splendore del regno. Per cui, disilluso e amareggiato, non gli rimane che ammettere “…chi vi conosce v’indovina facilmente. Vedo bene che in mezzo a questa fioritura di tesori, rimanete quelli di prima, quel che siete sempre stati.”.
Non è dunque bastata la convocazione del Gran Consiglio per invertire la logica egoistica degli interessi particolari sui bisogni generali. Cosa che purtroppo non c’era da aspettarsi neanche dagli Stati Generali appena conclusi. Un profilo di summit che avrebbe dovuto essere superlativo si è rivelato piuttosto elusivo e rinunciatario, inquinato dalla logica dei pesi e contrappesi, offuscato, come ha scritto Piero Ignazi, da una strategia “ecumenico-tecnocratica” E’ mancata, come ampiamente rimarcato da molti commentatori, un’energica inversione di marcia, un’angolatura più netta per incanalare i denari nelle pieghe strutturali del nostro sistema, come il lavoro e l'istruzione, senza impallinarsi a vicenda con mediazioni estenuanti e dilatorie. Alla kermesse, del resto, sono convenuti “medici e sapienti” che il sistema l’hanno costruito e puntellato con una forza e una dedizione inappuntabile, quelli che da sempre controllano e indirizzano le scelte verso obiettivi sempre più lacunosi e improduttivi, che considerano la politica del libero mercato come imprescindibile baluardo di ogni progresso sociale, e che, pur criticandola, a volte anche aspramente, pur avvertendola come un meccanismo generatore di ingiustizia sociale e disuguaglianze, non sono tuttavia disponibili a disegnare un modello di sviluppo meno vulnerabile e più equo.
Tutto diventa complicato se non cambia lo schema dialettico dentro cui impostare le grandi sfide economiche del futuro, se non si sottrae l’utilizzo di denaro pubblico dai tentacoli ingordi di pochi individui, se non si riflette sull’idea di capitalismo meno succube del profitto immediato. Jan Zielonka, nel libro “Contro-rivoluzione” ha messo in luce le gravi responsabilità del modello liberale riguardo al dilagare delle ineguaglianze e alla conseguente dispersione della coesione sociale, in cui ciascun individuo si sente un po’ più insicuro e indistinto, dove l’uguaglianza viene raggiunta attraverso un livellamento verso il basso di ogni aspettativa e traguardo individuale.
La modestia dei risultati ottenuti in questi decenni, scrive Zielonka, dovrebbe far riflettere se le idee liberiste sin qui propugnate siano davvero attrezzate per l’era digitale, per l’economia globale e il cambiamento climatico. Di certo “non si vedono segnali che facciano pensare che la politica liberale degli ultimi decenni possa tornare in auge presso gli elettorati d’Europa”. Se non si riescono a compattare le esigenze legittime del mercato con quelle altrettanto urgenti di un maggiore coinvolgimento dei cittadini verso una democrazia più partecipata e integrata, sarà difficile impedire che crescano nuove disillusioni nei cittadini e l’ulteriore avanzata di progetti populisti e antiliberali. Allora, per invertire l’incalzare di sentimenti ostili al sistema, fomentati dalla crisi pandemica in corso, non basterà neppure il ricorso alla mente ingegnosa del demonio.