Camilleri, che in questi giorni rimane ancora sotto osservazione medica a seguito di un arresto cardiaco, con grande apprensione dei suoi affezionati lettori, ci sorprende sempre con la sua prodigiosa e impertinente fantasia, piegando la sua penna a congegni narrativi imprevedibili, schemi descrittivi che variano di volta in volta, consentendo all’esposizione di non essere mai ripetitiva o scontata, con rimandi che pescano dentro uno sconfinato bagaglio di esperienza culturale ed umana.
La insaziabile ricerca di una scrittura inedita e profonda sia nelle atmosfere che nella descrizione dei soggetti è piuttosto rara negli scrittori di gialli, che devono necessariamente tener conto dei tempi circoscritti di una indagine investigativa, benché Camilleri, com’è noto, non può essere considerato solo un eccellente autore di letteratura poliziesca. Nel recente romanzo “Il cuoco dell’Alcyon” la narrazione viene accresciuta da una forma sottile di ambiguità, in cui vero e falso, apparenza e sostanza si integrano, rincorrendo tracce di pensiero del suo illustre conterraneo, Pirandello, a cui spesso ama rapportarsi.
Accade che il commissario Montalbano, senza preavviso, viene tagliato fuori dall’indagine, obbligato, quasi con la forza, a fruire inderogabilmente delle ferie arretrate, costretto ad allontanarsi dal suo ufficio per agevolarne la sua definitiva estromissione, assieme ai suoi diretti collaboratori. Ma come è possibile che uno come Montalbano si pieghi a questo diktat gerarchico contro la sua volontà? Sembra un bluff, un giuoco, una burla che somiglia per certi versi alla parodia della cavalcata in maschera da cui ha inizio la tragica follia di Enrico IV, il personaggio pirandelliano che a seguito di una caduta da cavallo perde completamente la ragione, per cui rimosso dalla realtà, viene accudito come pazzo, tanto che alla fine si lascia credere tale. Una follia razionale, non visionaria, quella di Enrico IV, che lo tiene fuori dal suo tempo. Non è un rifiuto della realtà ma un modo per poterla mettere meglio a fuoco, scrutarla, investigarla da una diversa angolazione, una follia avvertita come soccorso e rifugio .…”preferirei restare pazzo, osserva Enrico IV, perché la vostra vita, in cui siete invecchiati, io non l’ho vissuta”. Farsi passare per pazzo, oppure mascherarsi, per recuperare il vero senso del reale.
Ma torniamo a Montalbano.
Camilleri in questo libro, trasfigura i suoi amati personaggi facendoli recitare una parte insolita e sorprendente, battendo i tasti dell’assurdo e dell’immaginario, fino a farli assumere un aspetto quasi caricaturale. Ad ognuno assegna una parte dissimile da quella abituale, ad iniziare dal commissario Montalbano, che da integerrimo e scontroso uomo tutto d’un pezzo finisce per truccarsi e travestirsi da cuoco, Fazio diventa una specie di suo maggiordomo, aiutante in cucina, mentre il signori e guistori Bonetti-Alderighi da antipatico ed ostile burocrate viene riproposto come bonario sodale, quasi complice, dello stesso commissario. Mimì Augello, latin lover senza modestia, è costretto a cataminarsi con escort a pagamento, pur soppesando la stupefacente sontuosità dei loro lineamenti… ” Aveva un paro di jeans accussì aderenti d’assimigliari a scorcia di frutto chiuttosto che a tissuto..…na vucca che faciva lo stisso effetto di un simaforo russo….aveva denti da mangiatrici di carni cruda”.
Gli interpreti sono gli stessi ma vengono presentati con ruoli fuorvianti, con sembianze inconsuete, confondendo di proposito il lettore, prendendolo per il naso, in modo scherzoso e accattivante, a parte le immancabili digressioni di Catarella.
Insomma questa compagnia di giro si sposta su di una goletta che solca il Mediterraneo, stavolta senza migranti, ma con la presenza di perfidi uomini d’affari e spacciatori di ogni risma che, per concordare i loro loschi affari organizzano summit segretissimi, ancorando in acque internazionali, al largo di occhi indiscreti. Nientemeno che l’FBI aveva preso di mira questi trafficanti di rango servendosi ora di Montalbano per la loro cattura finale. Succede che nella turbolenta manovra conclusiva di accerchiamento il commissario, in preda ad una trance delirante, accoltella in modo spietato l’ispido Bartoncelli, il malvivente che organizza gli incontri clandestini. Solo la farsa del travestimento rende possibile un gesto così inatteso e cruento a cui non ci aveva mai abituati. Anche Enrico IV accoltella l’odiato rivale Belcredi nel finale di rappresentazione e si convince ad accettare la sua pazzia come rimedio naturale e non più eludibile. Mentre al mortificato Montalbano che non avrebbe mai creduto di poter compiere un atto così violento non resta altro da fare, con la pietosa intercessione dell’autore, che rinnegare quell’indicibile gesto, improprio rispetto alla sua autentica natura, cercando di cancellarlo disperatamente dalla sua memoria, non riconoscendo più sé stesso in quella trasfigurazione. “A bordo dell’Alcyon c’era stato un omo che non aviva né il so nomi né la sò facci – Un perfetto sconosciuto”. Non era proprio il caso di identificare la sua vera essenza di uomo con un insidioso pretesto letterario.