Variabilità diffusa in questo Aprile incerto e capriccioso con piovaschi e tempeste di vento opprimente e vischioso. Nel “L’Immoralista di A. Gide il protagonista Michel si dimena affranto e sofferente: “E’ tardi. Soffia un arido scirocco; è un vento che trasporta con sé la sabbia, torrido anche di notte, un vento che dà la febbre, acceca, taglia le gambe….”.
La convivenza con queste ondate calde e bizzose che risalgono dal Mediterraneo non è sempre facile. L’umidità secca il respiro, deconcentra e manda in confusione la mente che, irrimediabilmente, si mette sulla difensiva; il fisico si accascia, prostrato da un malessere diffuso, preda dell’inconcludenza; l’umore si decolora, i riflessi si intorpidiscono e la tensione si allenta. Il pensiero, fiaccato dalla cervicale, si defila, si incupisce, apatico e scostante: il pensiero non collabora con la mente, ma la strattona.
Diogene di Apollonia, chiamato il filosofo della natura, forse per primo ha studiato la relazione tra l’aria e l’intelligenza, sostenendo che il modo di pensare degli uomini è influenzato dalla qualità e dalla consistenza dell’aria che si respira, trova ostacoli nelle persone che vivono in zone torride e benefici in chi vive in zone fresche e ventilate. Il commediografo Aristofane nelle Nuvole canzonando il filosofo Socrate lo descrive rannicchiato dentro un cesto penzolante per aria intento a scrutare i fenomeni celesti. A chi gli chiedeva perché preferiva meditare da lassù rispondeva che con i piedi per terra le sue esplorazioni ne avrebbero risentito, “perché la terra attrae a sé, con forza, l’umore del pensiero, proprio come succede al crescione”.
L’influenza del clima sulle attività umane è stato più volte analizzato senza apportare sostanziali modifiche ai processi decisionali in campo economico. Un celebre pensatore arabo Al-Giahiz ”, precursore del determinismo ambientale, affermava che i comportamenti umani sono differenti a seconda “della vicinanza o lontananza del sole e dall’intensità o dalla dolcezza del suo calore” mentre alcuni studiosi contemporanei, tra cui l’insigne economista Giorgio Fuà, conoscitore come pochi delle cause che determinano gli squilibri economici, hanno evidenziato come tra i fattori caratterizzanti lo sviluppo tardivo non sarebbe sbagliato includere anche il clima.
Ma allora è davvero possibile collegare in una catena causa-effetto il clima o l’ambiente in cui si opera con la crescita economica? Un corposo studio pubblicato qualche anno addietro da due economisti anglosassoni (D. Acemoglu e J. Robinson – Perché falliscono le nazioni?) esclude la correlazione tra sottosviluppo e degrado sociale con ragioni puramente climatiche o ancor meno di tipo culturale e religioso, sostenendo che solo stabili e consolidate istituzioni “inclusive” possono generare una crescita duratura, poiché favoriscono un’organizzazione socio-politica aperta e pluralista, un sistema legislativo che tutela la proprietà privata, incoraggia l’innovazione ed incentiva l’iniziativa individuale. Diversamente le nazioni governate da istituzioni “estrattive”, bloccate nell’arretratezza da una classe dirigente corrotta e rapace, soffocando ogni attività economica indipendente e la libera circolazione delle idee, portano prima o poi l’intero sistema verso il declino, come è avvenuto in gran parte dell’America Latina o del Sud Est Asiatico e che in passato ha determinato il crollo dell’Impero Romano o la scomparsa della civiltà Maya.
Ma se è condivisibile uno stretto legame tra istituzioni solide ed un grado apprezzabile di benessere socio-economico resta però da chiedersi se il loro formarsi e consolidarsi non sia facilitato da favorevoli situazioni climatiche. Anche prendendo per certo che la dissoluzione della civiltà Maya sia stata causata dall’assenza di istituzioni inclusive visitando oggi le rovine di alcune sue città-stato, come Chichén Itzá o Palenque, immerse in una fitta foresta tropicale in cui il caldo umido risulta opprimente, ci si potrebbe chiedere piuttosto come abbiano potuto sopravvivere sino ad allora in un ambiente così ostile e soffocante.
Allo stesso tempo non è facile comprendere i motivi del permanere di aree sottosviluppate o eternamente in ritardo contrassegnate quasi sempre da temperature e climi poco concilianti che, seppure collocate in nazioni con istituzioni strutturate e dotate di buoni fondamentali, nuotano sempre dentro una congiuntura stagnante.
Se analizziamo le eccellenze presenti al Sud troviamo imprese del terziario avanzato, dei servizi innovativi e tecnologici legate all’agro-alimentare e alla logistica. Attività imprenditoriali spesso isolate e frutto di vivide iniziative individuali, coerenti e simbiotiche con l’ambiente circostante. L’aria e l’intelligenza, verrebbe da dire, collaborano. Contrariamente l’utilità dell’acciaio e del cemento, delle ruspe e delle betoniere appare marginale e profittevole nell’immediato, rispondente ad un modello di sviluppo caotico e disarticolato che si disinteressa dell’impatto nocivo sulla qualità dell’aria e, quindi, direbbe Diogene, sull’intelligenza. Una intelligenza, va precisato, che rimane sveglia e sorprendente anche in un clima umido e afoso ma a patto che non sia mortificata da un circolo vizioso frutto di investimenti incongruenti e cantieri invasivi che alla lunga deprimono anche la crescita.