Il ritorno al privato, dopo l’intensa stagione di attivismo politico che aveva caratterizzato la fine degli anni settanta, è passato alla storia con il termine di “riflusso”, cioè quel repentino rovesciamento di convinzioni e modi di essere che virava sull’evasione e sulla spensieratezza. Come d’incanto si passò dal mito di Che Guevara alle piroette acrobatiche di John Travolta, alla Locomotiva di Guccini si preferì Stayin’ Alive dei Bee Gees.
Si decise che era giunto il momento di bandire l’imperante ascetismo culturale dell’epoca, di fare a meno della noia mortale dei dibattiti e dei cineforum, per lasciarsi finalmente ammaliare da simbologie e posture meno asfissianti, meno barricadiere. Una volta naufragata nella disillusione la tensione ideale di una intera generazione le sognanti immagini di un futuro mitico e radioso furono presto accantonate, la rivoluzione fu messa in modalità stand-by e si andò alla ricerca di una esistenza più semplice e giocosa. Il “riflusso” fu percepito come un universale liberi tutti, ma fu comunque un ripiego, una regressione, una resa al già dilagante consumismo e all’arrivismo più spregiudicato. Il contesto sociale odierno, pigro e conformista, è una diretta conseguenza di quel ripiegamento. Di fronte all’avanzare di un mondo pieno di disuguaglianze e di contrasti sociali endemici, mai risolti, quell’anelito al privato non ha liberato granché l’individuo moderno, ma lo ha imprigionato nella degradante ostentazione di se stesso. Ognuno pensa a rivendicare l’unicità del proprio mondo personale, mentre questo mondo gli rimane sempre un po’ più stretto, appiccicoso, asfissiante. Il sociologo De Rita ha chiamato questo fenomeno “soggettivismo etico”, una moltitudine di individui svuotati e solitari, che non aspirano a costruire alcun progetto comune di società.
Prendiamo la scolaresca che umilia la prof sparandole addosso i pallini. E’ sempre accaduto, da che mondo è mondo, che gli studenti si siano atteggiati a guasconi, ma poi ci si vergognava di pubblicizzare l’accaduto, un po’ per riserbo, un po’ per vergogna. Oggi si fanno le bravate più spregevoli con l’intento di divulgarle. Si annunciano omicidi e sevizie in video per essere visibili, per sentirsi vivi. Attraverso la prevaricazione dei social ed il loro gioco narcisistico ci abituiamo a giustificare tutto, a credere a tutto. Ci stiamo adattando ad una società levigata, trasparente, senza patos, quindi falsa, perché la verità è un percorso faticoso, imperscrutabile, che però tendiamo a schivare ad ogni costo. La vita ridotta a serie tv ci mostra e ci auto rappresenta in modo distorsivo, comunicando solo ciò che ci piace, ciò che gli altri approvano, cercando di nascondere i nostri lati più oscuri, le nostre debolezze, le nostre grane. Lì dentro, in compagnia di noi stessi, ci giudichiamo e ci assolviamo da ogni peccato, mentre, senza ombre e senza storture, la vita è poco credibile, ci fa regredire in un mondo fiabesco e infantile dove diventiamo tutti aspiranti prìncipi e impavide cenerentole.
Scrive il filosofo Byung-Chul: “In questo spazio visuale autoerotico, in questa interiorità digitale, non è possibile nessuno stupore. Gli uomini trovano piacere solo per se stessi”. Attratti dal nostro ombelico, ossessionati dal promuovere la nostra encomiabile eccellenza inghiottiamo qualsiasi panzana, raggiro o idiozia virale, proprio perché abbiamo perso la dimestichezza nel saperci difendere dalla prevaricazione del potere che non ha mai smesso di intorbidire e ingannare le coscienze. La storia raccapricciante dell’eurodeputato Panzeri e della “Fight Impunity” dimostra quanto poco siamo ormai avvezzi a riconoscere per tempo le sue pratiche corruttive, le sue lusinghe. Ci fidiamo così tanto delle suadenti narrazioni divulgate sullo schermo che sorvoliamo sulla pretestuosità di certe dichiarazioni, sulla vacuità di certi economic forum, non distinguiamo più la smanceria di certi sorrisi compiacenti, avendo gradatamente dissipato tutti gli strumenti critici, cognitivi, oltre ad ogni supporto etico, in grado di poterli identificare e contrastare.
Il riflusso degli anni ottanta si è trasformato oggi in una torbida risacca, in una malinconica bonaccia che avvolge la modernità dentro una tagliola di relazioni fittizie. L’effetto analgesico di questo torpore si nota dal quanto poco ormai riusciamo ad indignarci, restando spesso impotenti e umiliati di fronte alla soverchiante mole degli interessi costituiti, che dettano i tempi e i modi delle scelte (o non scelte), rimandando provvedimenti che sentiamo dovrebbero invece essere immediati, indifferibili. Abbozziamo alla tante promesse, ai tanti distinguo, mentre l’ambiente è sempre più sporco e inquinato, il clima incandescente, la politica un verminaio, la sanità allo stremo, gli spiriti sempre più inquieti, la speranza prosciugata. Siamo parte di una folla distratta ed abulica.