Il professor Fedir Shandor docente dell'università di Uhzgorod, dopo essersi arruolato nell’esercito ucraino, non ha smesso del tutto di insegnare. Continua a tenere i suoi corsi in videoconferenza con gli alunni, rintanato dentro qualche bunker tra lo scoppio di un bombardamento e le scariche delle mitragliatrici. Quando gli è stato chiesto perché è così importante continuare a insegnare ed apprendere, anche durante la guerra, egli ha risposto che l'istruzione viene prima di tutto, senza di essa non si diventa homo sapiens.
Quelli che non hanno istruzione e le basi della cultura, finiscono a scavare le trincee nell’area radioattiva di Chernobyl, oppure lanciano missili su un teatro pieno di sfollati, oppure, compiono i crimini di Bucha. Nessun docente degno di questo nome insegnerebbe ai suoi studenti a fare cose simili. Quindi ne deduco, afferma Shandor, che non esiste istruzione nel Paese che ci ha attaccato, cioè la Russia. In realtà tutti possiamo immaginare cosa significa vivere in un paese illiberale. Si finisce per essere tagliati fuori da ogni conoscenza, mentre diritti e dignità personale sono calpestati da un’ingerenza politica assoluta e pervasiva.
Dimentichiamo spesso che la democrazia è, nella sostanza, una esperienza di fiducia verso le capacità umane, un balsamo impregnato di principi etici e norme sociali che, pur con tutte le sue impurezze, tonifica il destino degli uomini e li rigenera. Rendersi partecipe delle sorti comuni è una sensazione tanto gratificante e coinvolgente che difficilmente si torna indietro. Nessun regime dispotico è mai riuscito a sottomettere territori di conquista puntando solamente su un predominio bellico o su un odiosa supponenza ideologica. L’esercito persiano, che a detta di Erodoto sembrava un’onda imponente, non riuscì, dopo aver passato l’Ellesponto, ad espugnare la piccola Grecia. Possedeva certo una supremazia militare, ma non poteva competere con l’educazione civica ed il senso morale delle polis greche. Un potere che non sa dominare i tratti del moderno, che pensa in funzione del suo dominio autarchico, proponendosi di sopprimere la coscienza umana, è sempre sconfitto e deriso. L’impero romano si allargò a dismisura perché oltre alle armi attraeva con nuovi principi, proponeva istituzioni più larghe, stili di vita e credenze meno primitive. Roma era temuta, ma era anche un modello da imitare. Molti le si offrirono, le andarono incontro, pochi si opposero al vento impetuoso della cultura ellenico-romana, che di certo preferirono alle manie persecutorie e alle pratiche stregonesche del tempo.
A ragione chi sostiene che il mondo occidentale ha avuto in passato comportamenti indegni nel colpire popoli inermi, seminando morti e distruzioni, come avvenne nel Vietnam o nell’infame campagna dell’Iraq, eppure sono cresciute al suo interno ampie resistenze, se non aperte e aspre contestazioni. Ancora oggi il ricordo di tali irragionevoli aggressioni sono condannate come atti vili e scriteriati che fanno arrossire di vergogna chi le ha provocate e avallate. Non dimentichiamo di essere scesi in piazza per testimoniare l’arroganza del governo americano. Ci sono state testimonianze, libri, articoli, film, canzoni che sono lì a dimostrare l’indignazione di un’opinione pubblica pronta a smascherare la menzogna del potere, ad esercitare un’irrinunciabile funzione critica. La stessa indignazione, lo stesso sconcerto sono apparsi sul volto glaciale della nomenklatura russa al solo nominare la Siria o la Cecenia? Magari qualche spirito audace e indipendente ha reclamato, finendo egli stesso soppresso.
Oggi si fanno sentire quelli che hanno messo l’elmetto al contrario. Guidati forse da un senso di rivalsa, sentendosi maltrattati, delusi, incattiviti, reclamano ad ogni piè sospinto le colpe dell’Occidente che li ha cresciuti, indirizzando lodi e inni di giubilo verso l’immarcescibile causa della potenza russa, della sua proverbiale, orgogliosa lungimiranza. Come ai tempi dei No Vax si rintracciano e si sentono tra di loro, scoprono siti esoterici, rispolverano dichiarazioni spesso provocatorie, esaltate, ingenerose, sviando l’attenzione dalla crudeltà delle macerie e dalla verità imbarazzante dei massacri disumani, rincuorandosi nel sentire il tifo strombazzato di qualche professore universitario per le forze vendicatrici della santa madre Russia. Ma fare il tifo, dice Cecilia Strada, è più semplice anche dal punto di vista cognitivo. E’ emotivamente più sostenibile, richiede di articolare meno il pensiero.
L’Ucraina sarebbe cascata ai suoi piedi se Putin oltre ad una incerta compagnia di giro militare si fosse accompagnato da un’idea meno arcaica e offuscata di società. Difatti l’invasione russa è stata vissuta dalla gente ucraina come un minaccioso arretramento rispetto alla sua voglia di riscatto e di modernità assaporate in questi ultimi anni. La resistenza si è fatta più arcigna proprio nel ricordo di un passato di afflizioni scaturite dall’oppressione sovietica. E’ stato come difendersi dalla superbia di un signorotto di provincia che pensa di poter dominare la vita energica della metropoli credendo di poter affascinare con la suggestiva dimensione della culla imperiale, della terza Roma, della Z bianca come simbolo trionfante di identità nazionale. Tuttavia, come messaggio empatico è sembrato davvero deludente ed anche poco apprezzato.