La fuga irrazionale dalla realtà che presiede al “pensiero magico”, esclude ogni tensione meditativa ed ogni possibilità di dubbio, diversamente da ciò che accade nella corrente artistica definita con il termine “realismo magico” laddove invece la realtà viene inseguita, accarezzata, esaltata attraverso l’immaginazione e il prodigio.
Il pensiero magico da una parte allontana con sdegno ogni spiegazione logica o scientifica, ritenendola di per sé inaccettabile, perversa, falsificata dalle torbide fonti dominanti, dall’altra si nutre di logiche cognitive primordiali, semplici e rassicuranti. Ciò significa che di fronte ad un evento imprevisto viene meno il concetto di dimostrazione causa-effetto che è all’origine dell’evoluzione dell’homo sapiens. Si ricorre all’illusione del pensiero magico per cercare di mitigare e tacitare la propria ansia, il proprio malessere. Ad esempio la visione di mondo evocata dai no vax, si emancipa dalla realtà fuggendola, negandola e filtrandola come avviene nella mente egocentrica dei bambini quando insistono a volere sempre ragione o quando pensano che con la sola forza del pensiero, serrando gli occhi, riescono a bloccare i pericoli, a far scomparire le ingiustizie, o quando credono ciecamente nell’arrivo dell’uomo nero che li avrebbe puniti per le loro monellerie. Questo processo di autodifesa produce un sollievo istantaneo, così come la dimostrazione e la spiegazione del fenomeno da parte degli adulti rappresenta una menzogna, un imbroglio che disturba il candore e l’innocenza dei loro pensieri. Il magico, il superstizioso, il sortilegio vengono in soccorso per arginare una verità minacciosa e autoritaria che scompagina, che irrita e che non si riesce a circoscrivere, spiegare, dominare. Ci si protegge con una strategia che acquieta la coscienza, ma che non permette un “funzionale adattamento” alla realtà che spesso si presenta imperscrutabile, rischiosa e imperfetta. Mentre il fiero Don Chisciotte ignora la realtà, il pensiero magico banalmente non l’accetta, la considera un azzardo, rifiuta di capirla con una cocciutaggine che a volte sfocia nel ridicolo.
Un processo inverso avviene nel “realismo magico”. Prendiamo la storia del Visconte Medardo di Terralba che, partito per la guerra contro i Turchi, viene colpito in battaglia da una palla di cannone che gli trapassa il corpo tagliandolo in due perfette metà. Medardo passerà le sue giornate alternando la sua metà destra, malvagia e cattiva, e la metà sinistra, buona e caritatevole, sino a quando entrambe si innamorano e si contendono in duello una bella fanciulla. Dopo una serie di fendenti e colpi di spada i due spasimanti rimangono per terra feriti e sanguinanti. A quel punto interviene il medico che provvede a ricucire le due parti monche del visconte in un unico corpo. Solo a quel punto Medardo diventa un uomo completo. La figura utopica del visconte, inferme e altero, buono e cattivo insieme, rappresenta, con l’aiuto del racconto fiabesco, la parabola di una esistenza intensa, stupefacente. Qui avviene il contrario del pensiero magico, perché proprio tramite l’espressione fantastica, ludica, chimerica la realtà si sublima, si lascia esplorare per comprenderne meglio il senso. Calvino in seguito scrisse: “ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo dimezzato, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra.».
La prospettiva su cui si muove il “realismo magico”, nella pittura come nella letteratura, non rigetta la realtà, né la rinchiude in un mondo amorfo e blindato, ma la nobilita per far riemergere tesori e segreti dell’animo umano mascherati dietro l’apparenza delle convinzioni e dei pregiudizi, rendendola sorprendente e comprensibile, degna di essere vissuta. La durezza della realtà si trasfigura e si manifesta nei ritratti di personaggi mitici come Aureliano Buendia che attraversa le strade polverose e memorabili di Macondo o nella solitudine malinconica del sottotenente Giovanni Drogo che resta in attesa che si compia il proprio destino dentro la Fortezza Bastiani, un luogo irraggiungibile e incontaminato ai confini del tempo, o ricompare nelle struggenti favole di Sepúlveda, negli sforzi del gatto che insegna a volare la gabbianella o nella pazienza del cane che insegna ad un bambino il valore della fedeltà.
L’invenzione fiabesca, il gioco magico, le allegorie sognanti illustrano con maggior precisione i temi essenziali ed universali che segnano la nostra coscienza, ne misurano le paure, le speranze, ne illustrano la natura più profonda. La dimensione del reale viene inseguita e dilatata, apparendo sempre più precisa, solida, illuminante. Al contrario il pensiero magico, con il suo fanatismo illogico, il suo volto gregario, fanciullesco, inerme, subisce la verità senza cercarla, arretra e si schianta di fronte alla fatica e al fascino di poter cogliere ogni sfumatura del vivere quotidiano, comprese le sue gioie e le sue inquietudini.