Anche se accompagnato da una comprensibile delusione il vertice di Glasgow sul clima ha di fatto reso sempre più stringente la convinzione che il pianeta Terra è davvero uno soltanto e che il rimpallo tra egoismi ed interessi contrapposti non riuscirà a far saltare definitivamente il banco. Tutti, anche il più riottoso dei governanti, sono consapevoli che la degenerazione dell’ambiente finirebbe per nuocere tutti.
Scrive Zakaria Fareed: siamo tutti collegati ma nessuno è al volante. Nel corso della sua evoluzione l’uomo ha accettato di mettersi in gioco soltanto nel momento in cui sentiva il pericolo imminente e irreversibile, più che l’intelligenza lo ha salvato il suo istinto di sopravvivenza. E comunque i grandi rivolgimenti storici hanno sempre subito una lunga e complicata gestazione. Ci vollero due secoli per completare la rivoluzione scientifica, iniziata da Copernico con la sua teoria eliocentrica, all’inizio del ’500, e conclusasi con la legge gravitazionale di Newton in cui spiegava perché le mele cadono a terra. Fu uno sconvolgimento del modo di pensare e di interpretare il mondo, ma ci vollero due secoli tra ostruzionismo, tattiche dilatorie, ostilità preconcette e persino cervellotiche scomuniche da parte della Chiesa. Oggi si pone un dilemma simile: o rinunciare a governare le conseguenze nefaste dell’impazzimento del clima, oppure ritenere ineludibile il presupposto che prendersi cura del pianeta è come curare se stessi. Per questo serve trovare le parole che esprimono questo disagio. Difatti le rivendicazioni di più immediati interventi sul clima non vengono più accolte come pie illusioni o come provocazioni di alcuni lunatici. Non è da poco essere arrivati alla condivisione che il riscaldamento globale ha un’origine antropica, diretta conseguenza dell’attività umana e dell’utilizzo sconsiderato di combustibili fossili come carbone, petrolio e gas. Solo qualche tempo addietro si ritenevano le epidemie o i disastri ambientali più dipendenti dall’intervento divino che da quello umano. Per dire, la parola influenza deriva dall’antica superstizione popolare che i raffreddori e gli sternuti fossero dovuti all’influenza degli astri. Ora invece i termini che usiamo sono precisi, coincidenti, universali. Intanto la ricerca scientifica è già in grado di sperimentare impianti, sonde e finissime membrane in grado di ottimizzare e ridurre gli sprechi abbattendo le emissioni di gas serra in agricoltura o nella raffinazione dei prodotti chimici, mentre si studiano nuove tecniche di estrazione dell’idrogeno verde e procedimenti in grado di raffreddare il pianeta catturando e immagazzinando l’anidride carbonica in circolazione nell’atmosfera. La stessa riforestazione servirà a rendere più respirabile l’aria delle nostre città. Sicuramente la tecnologia andrà di corsa. Tuttavia questa sfida sarà vinta seguendo i paradigmi di una rivoluzione intellettuale prima che di una rivoluzione tecnologica. Senza un atteggiamento più premuroso e responsabile, senza la riscoperta di un legame di profonda gratitudine verso ciò che ci circonda, senza un modo più semplice ed empatico di saper vivere, il pianeta probabilmente continuerà il suo magnifico giro, ma noi non saliremo sulla giostra. Scrive Maurizio Ferraris in “Documanità”: possiamo benissimo pensare ad un mondo senza umanità, ma non a una umanità senza mondo. Il punto di svolta si coglie nel non sentire più sbuffare agli annunci preoccupati degli scienziati, ritenuti in passato pretestuosi e surreali. Inoltre si è passati dalla generica affermazione che il tabacco nuoce alla salute, ammiccando sempre alla salute degli altri, accorgendosi, invece dall’ultima lastra, che le metastasi si stanno diffondendo dentro tutto l’organismo. Qualche tempo addietro quando venivano scoperchiati i tetti o crollavano gli alberi a seguito di impressionanti raffiche di vento o scroscianti piogge torrenziali, con il conseguente allagamento di interi quartieri, c’era sempre chi banalizzava la previsione di scenari desolanti e incontrollabili. Oggi solo pochi sconsiderati possono mettere in dubbio che la malattia della terra sta contaminando la quotidianità delle nostre vite e che non si tratta più di atteggiamenti isterici per la scomparsa di una astrusa specie animale o di lacrime versate per l’estinzione di un raro arbusto vegetale come il Limonium Catanese o il Ranunculus Lombardo. Qui non si tratta di restare sconvolti scorrendo le scene drammatiche del film Hours sull’uragano Katrina o turbati dalle onde gigantesche che sommergono i piccoli isolotti del Sud Pacifico, perché lo scenario si è spostato nelle nostre case, interessa le nostre strade, le nostre valli, le nostre spiagge. La vita di tutti i giorni. Per vincere la sfida del cambiamento climatico occorre la scienza ma anche un certo grado di ottimismo e di ambizione nel voler partecipare alla ricostruzione del mondo, nell’essere convinti che vale la pena mettersi in salvo per rendere ancora compatibile il sogno del cammino dell’uomo sulla Terra. E questo desiderio vale molto più di un protocollo pasticciato o della sottoscrizione di un impegno formale.