Diamolo pure per scontato. Dopo questo periodo deprimente e tormentato a causa del coronavirus ci si attende una promettente stagione di rinascita. Le previsioni su cosa veramente ci riserva il domani non sono però tutte univoche, variano da un accentuato ottimismo sulle inesauribili capacità di riscatto del genere umano ad un legittimo pessimismo giustificato dalle sue dinamiche più neglette.
In ogni caso la spinta a rinnovarsi fa parte della teoria dell’evoluzione per cui qualsiasi connotato assumerà il prossimo spirito dei tempi sicuramente saprà cogliere sorprendenti opportunità di benessere. Dopo un brusco capitombolo in cui le persone, rimuginando sulla felicità perduta, ripiegano su sé stessi, spaventati dall’improvviso crollo delle proprie certezze, nella nebbia più fitta si fa strada una nuova luce, riappare una nuova fiducia, emerge una struttura di pensieri sconosciuta. Tuttavia nel passato le catastrofi e i flagelli erano fenomeni largamente accettati e sopportati, guerre e carestie erano eventi tanto inevitabili quanto traumatici, impressi nel circuito della memoria di intere generazioni che ne tramandavano la minaccia e le infauste conseguenze. L’attuale pandemia invece, pur appartenendo anch’essa all’ordine naturale delle cose, è stata valutata sin dall’inizio come un fastidioso accidente, le cui tracce sbiadite sono state frettolosamente rimosse dal contesto umano. La civiltà moderna, così piena di ottimismo e di compiacimento, non poteva accettare di sottostare alla diavoleria del contagio. L’invasione oscura e violenta del virus ha colto di sorpresa, nel suo picco, una modernità sazia e soddisfatta, in larga parte liberata dal bisogno, orgogliosa della scia di distorsioni sociali con cui ha preteso di disseminare il suo recente cammino. Una modernità che non poteva aspettarsi di peggio che essere costretta a tenere la testa china, obbligata a ripensare sé stessa. Ad ogni modo la rinascita di una civiltà non può essere pianificata a tavolino, ma cresce e si diffonde travolgendo idee e consuetudini, superando rischi incalcolabili, infrangendo interessi consolidati e ritenuti indispensabili, modificando nel profondo modi di fare e di vivere. Occorre tempo per potersi compiere quel processo contorto e avvincente chiamato non a caso di “distruzione creatrice”. Dal caos e dal disordine sono sempre scaturite prospettive e scenari di mondi inattesi, soprattutto laddove si è potuto contare su istituzioni inclusive e su una diffusa concentrazione di saperi. Luoghi questi in cui si è maggiormente dispiegata la potenza della creatività. Einstein diceva che la creatività nasce dall’angoscia, come il giorno nasce dalla notte oscura. Voleva dire che dalla crisi più nera può nascere la spinta necessaria per disegnare nuovi orizzonti, raggiungere mete inesplorate, scoprire nuovi spazi di vita. Per rinascere dal Covid bisognerà dunque riprendere a volare alto, con valori e bisogni difformi da quelli odierni, far crescere, soprattutto nelle nuove generazioni, quelle spinte motivazionali che favoriscono l’entusiasmo e stimolano la curiosità verso soluzioni mai testate prima. Il livello mortificante raggiunto dal campo dell’istruzione, pensato non più come campo aperto per sperimentare e alimentare sogni imperscrutabili ma come luogo regolato da logiche convenzionali e burocratiche, non aiuta a ben sperare in nuove forme di socialità. Jean Piaget sosteneva che l’apprendimento è di per sé un atto creativo. Lanciarsi verso l’ignoto, scrutare da vicino ciò che non si conosce stimola il sistema mentale. Abbiamo appreso dallo psicologo Guilford, che le caratteristiche del pensiero creativo richiamano una stretta combinazione tra il pensiero “convergente” e quello “divergente”, cioè tra il pensiero più ovvio e rassicurante, che viene incanalato, come un imbuto, verso soluzioni più facili e a portata di mano, che però soffocano ogni possibile novità, e quello divergente, meno vincolato e conforme che, come un imbuto al rovescio, porta la mente a generare idee originali e dirompenti, accende la scintilla dell’inaccettabile, disarticola l’impossibile. Queste sono le idee più appropriate che possono servire a scuotere l’appiattimento e scrostare la ruggine del presente. Purtroppo ultimamente non abbiamo saputo mantenere sgombra e ricettiva la nostra mente, ma l’abbiamo riempita, come una pesante zavorra, di cose sbrigative e superflue, resa incapace di autoalimentarsi. Forse abbiamo preferito concentrarci su obiettivi sbagliati, indebolendo così il demone della creatività e la sostanza dell’ingegno di cui è fatta la materia del nostro cervello. E’ completamente sparita l’attitudine ad osare e possibilmente rischiare, come si dice, ogni giorno la nostra brutta figura. Alla fatica e al sudore dell’esperienza diretta, anch’essa fonte di creatività, preferiamo l’accomodante vuotaggine commutata tra le pieghe del digitale. In realtà lo schermo piatto ammalia e intorbidisce, non contempla lo sforzo creativo e non crea spinte emotive in grado di farci riflettere sulle opportunità che questa crisi ci obbliga ad esplorare.